4/2023

EDITORIALE

LEGALITÀ INTERNAZIONALE E USO DELLA FORZA A DIFESA DEL DIRITTO

Attualità: i Fronti di Guerra e le loro Implicazioni
Ucraina: Un Conflitto Che Mette alla Prova la Legalità Internazionale
Il conflitto in Ucraina, con l'annessione della Crimea da parte della Russia e il conflitto in corso nell'est del paese, rappresenta una seria sfida alla legalità internazionale. La comunità internazionale è chiamata a rispondere a violazioni evidenti del principio di sovranità statale e dell'integrità territoriale.
Israele-Palestina: Una Storia di Conflitti e Diritti Umani Violati
Il conflitto tra Israele e Palestina è una fonte costante di preoccupazione per la comunità internazionale. La violenza continua ha implicazioni significative per i diritti umani, con molte voci che sollevano preoccupazioni riguardo alle violazioni dei diritti civili e delle norme umanitarie internazionali.
Azerbaigian: Il Conflitto del Nagorno-Karabakh e le Sue Conseguenze
Il conflitto tra Azerbaigian e Armenia per il controllo del Nagorno-Karabakh ha recentemente riportato l'attenzione sulla regione. Le violenze e le dispute territoriali hanno evidenziato le sfide della gestione dei conflitti e delle violazioni dei diritti umani.
Implicazioni Globali e Risposte della Comunità Internazionale
La presenza di oltre 50 fronti di guerra nel mondo sottolinea la complessità del mantenimento della legalità internazionale e la tutela dei diritti umani. In questo contesto, è fondamentale analizzare come la comunità internazionale risponda a tali sfide.
Risposte Internazionali: Sforzi e Limitazioni
Organizzazioni internazionali come l'ONU sono chiamate a svolgere un ruolo cruciale nella risoluzione dei conflitti e nella promozione dei diritti umani. Tuttavia, le limitazioni nelle azioni e nelle risoluzioni possono rallentare i progressi.
Sforzi Diplomatici e Umanitari: Le Chiavi per una Soluzione Sostenibile
Gli sforzi diplomatici e umanitari giocano un ruolo fondamentale nel mitigare le conseguenze dei conflitti. Il coinvolgimento di organizzazioni non governative e degli attori diplomatici può contribuire a fornire assistenza umanitaria e lavorare verso soluzioni a lungo termine.
Conclusioni: Sfide da Affrontare e Speranze per il Futuro
In conclusione, l'analisi di questi fronti di guerra evidenzia la necessità di un impegno globale per affrontare le violazioni della legalità internazionale e dei diritti umani. Mentre le sfide sono numerose, gli sforzi collettivi possono portare a un mondo più giusto e pacifico. Lavorando insieme, la comunità internazionale può superare le difficoltà attuali e costruire un futuro in cui la legalità e i diritti umani siano rispettati in modo universale.

Istituzioni e Strumenti per la Protezione dei Diritti Umani
Corte Internazionale di Giustizia (CIJ): Guardiani della Legalità
La CIJ, con sede a L'Aia, svolge un ruolo chiave nella risoluzione di controversie tra stati e nell'emissione di pareri consultivi su questioni legali. La sua autorità si basa sul consenso degli stati, e la sua giurisdizione è limitata alle questioni da loro sottoposte. Tuttavia, il suo contributo alla definizione della legalità internazionale è significativo.
Corte Penale Internazionale (CPI): Affrontare i Crimini Contro l'Umanità
La CPI è stata istituita per perseguire individui responsabili di crimini contro l'umanità, genocidio e crimini di guerra. La sua presenza è fondamentale nel garantire che coloro che commettono gravi violazioni dei diritti umani siano chiamati a rispondere davanti a un tribunale internazionale.
Altri Meccanismi di Tutela: Commissioni e Accordi
Numerose commissioni e accordi internazionali lavorano per monitorare e proteggere i diritti umani. Esempi includono la Commissione Interamericana sui Diritti Umani e la Convenzione contro la Tortura delle Nazioni Unite. Questi organismi forniscono forum per la denuncia e l'esame delle violazioni dei diritti umani.
Analisi dei Successi e delle Sfide
Successi nel Campo della Protezione dei Diritti Umani
Ci sono stati casi in cui le istituzioni internazionali hanno avuto successo nel perseguire violazioni dei diritti umani. Ad esempio, la CPI ha emesso condanne per crimini di guerra, fornendo una forma di giustizia a livello internazionale.
Sfide e Limitazioni
Tuttavia, ci sono anche sfide evidenti, come la mancanza di adesione universale a tali istituzioni e la difficoltà nell'applicare le decisioni. Le controversie politiche e la mancanza di cooperazione da parte di alcuni stati rappresentano ostacoli significativi.
Conclusioni: Prospettive per il Futuro
In conclusione, mentre esistono istituzioni e strumenti dedicati alla protezione dei diritti umani, è essenziale affrontare le sfide per garantire un'applicazione più efficace della legalità internazionale. Rafforzare l'adesione, migliorare la cooperazione internazionale e affrontare le carenze nei meccanismi esistenti sono passi cruciali per garantire un futuro in cui i diritti umani siano universalmente rispettati.
Sfide Contemporanee
Violenza e Violazioni dei Diritti Umani
La persistenza di conflitti armati in diverse regioni del mondo continua a generare violenze e violazioni dei diritti umani. Il costo umano di tali conflitti è enorme, con migliaia di persone coinvolte e gravi conseguenze per la sicurezza e il benessere delle comunità.
Discriminazione e Disuguaglianza
La discriminazione basata su razza, genere, religione o orientamento sessuale persiste in molte società. Queste forme di discriminazione minano i principi fondamentali della legalità internazionale e ostacolano il raggiungimento di una società giusta e inclusiva.
Accesso Limitato all'Istruzione
In alcune parti del mondo, l'accesso all'istruzione è ancora limitato, soprattutto per le ragazze e le donne. Questa disparità nell'accesso all'istruzione rappresenta una violazione dei diritti umani fondamentali e contribuisce alla perpetuazione del ciclo di povertà.
Implicazioni sulla Legalità Internazionale
Risposte Globali alle Sfide
Affrontare queste sfide richiede una risposta globale. La comunità internazionale deve lavorare insieme per promuovere la pace, prevenire la violenza e eliminare le disparità nell'accesso ai diritti fondamentali.
Ruolo delle Organizzazioni Non Governative (ONG)
Le ONG svolgono un ruolo cruciale nel monitorare e denunciare violazioni dei diritti umani. Il loro impegno sul campo è spesso fondamentale nel portare attenzione internazionale alle situazioni di crisi e nella fornitura di aiuti umanitari.
Progressi e Iniziative Positive
Educazione come Chiave per il Futuro
L'istruzione è una chiave fondamentale per superare molte delle sfide attuali. Investire nell'istruzione, specialmente per le ragazze, non solo promuove la legalità internazionale, ma contribuisce anche a creare società più equilibrate e sostenibili.
Sforzi Diplomatici per la Pace
In molte regioni colpite dalla violenza, gli sforzi diplomatici per la pace sono in corso. La risoluzione dei conflitti e la promozione di soluzioni diplomatiche sono essenziali per stabilizzare le regioni e garantire il rispetto dei diritti umani.
Conclusioni: Una Chiamata all'Azione Globale
In chiusura, la comprensione e l'affrontare le sfide contemporanee sono fondamentali per il progresso della legalità internazionale e dei diritti umani. Attraverso la collaborazione globale, sforzi concreti e un impegno collettivo, il mondo può progredire verso un futuro in cui la pace, la giustizia e il rispetto dei diritti umani sono la norma.
Conclusioni: Guardando al Futuro
La legalità internazionale e la protezione dei diritti umani sono sfide complesse che richiedono un impegno costante da parte della comunità globale. Nel riflettere su quanto discusso, emergono alcune considerazioni chiave:
La Necessità di un Impegno Universale
Affrontare le violazioni dei diritti umani richiede un impegno universale. Nessun paese o istituzione può affrontare tali sfide da solo. La cooperazione internazionale e il rispetto reciproco sono fondamentali per la creazione di un mondo in cui i diritti umani sono tutelati in modo universale.
Le Sfide Come Opportunità di Miglioramento
Le sfide attuali rappresentano anche opportunità per migliorare e rafforzare i meccanismi esistenti. Imparare dagli errori del passato e adattarsi alle nuove sfide contribuirà a creare sistemi più robusti e resilienti.
Ruolo Chiave dell'Educazione e della Consapevolezza
L'educazione e la consapevolezza sono fondamentali per il cambiamento. Promuovere la comprensione dei principi della legalità internazionale e dei diritti umani sin dalle fasi iniziali dell'istruzione contribuirà a creare cittadini globali consapevoli e impegnati.
La Speranza in un Futuro di Giustizia e Pace
Nonostante le sfide, c'è speranza. Gli sforzi congiunti della comunità internazionale, supportati da individui, organizzazioni e governi, possono portare a un futuro in cui la legalità internazionale è rispettata e i diritti umani sono difesi senza compromessi.
In conclusione, il percorso verso la legalità internazionale e la tutela dei diritti umani è lungo, ma ogni passo avanti è cruciale per costruire un mondo più giusto, equo e pacifico.

DIPLOMAZIA E GEOPOLITICA

La Tragedia Ebraico-Palestinese

Adriano Benedetti

La tragedia ebraico-palestinese, dopo aver colpito le zone di frontiera di Israele limitrofe alla Striscia di Gaza, sta ora devastando Gaza City con il saldo di centinaia di vittime ogni giorno. Alla ferocia di Hamas ha risposto la disinibita determinazione dell’esercito israeliano. Le regole del conflitto moderno non sembrano trovare applicazione nell’attuale congiuntura di “ferro e fuoco” medio-orientale, allorché sono proprio i civili, da una parte e dell’altra, ad essere gli inermi obiettivi della furia bellica dei due contendenti. Come si è potuti giungere a tali livelli di efferatezza?

Il programma dell’estrema destra israeliana. L’attuale governo israeliano, capitanato da Benjamin Netanyahu al potere da ormai un anno, puntava sul piano politico interno ad alterare gli equilibri di forza mediante una riforma fondamentale volta a ridimensionare l’indipendenza della magistratura: suscitando la rivolta militante dei partiti di opposizione (e di una parte importante della società civile) che ha caratterizzato la vita israeliana dell’ultimo anno. Meno evidente, ma egualmente perseguito con inflessibilità, era il disegno di rendere irreversibile l’occupazione della Cisgiordania, in vista della finale unificazione del territorio israeliano sotto la bandiera di David. La convinzione era che alla fine le resistenze della popolazione palestinese (circa 3 milioni) nella Cisgiordania sarebbero state in qualche modo rintuzzate e riassorbite in maniera tale che, pur con una consistente, irrequieta componente palestinese non irreggimentata, Israele potesse puntare al raggiungimento della sua unità storico-politica. D’altronde la continua, inarrestabile crescita della popolazione israeliana nei Territori occupati, che ormai supera abbondantemente le 700 000 unità (ivi compresa la porzione che vive a Gerusalemme) appare capace a prima vista di rendere irreversibile lo spostamento demografico. Quanto all’Autorità palestinese di Abū Māzen, essa poteva anche essere mantenuta ma progressivamente depauperata di ogni potere, sino al punto di diventare del tutto irrilevante. 
In questo schema l’esistenza di una Gaza palestinese costituiva una “escrescenza” non collimante con la prospettiva sopra delineata, ma si confidava che con il passare del tempo si sarebbero trovati modi per irretire ogni volontà di autonomia politica della “Striscia” al fine di renderla compatibile con l’esistenza della “Grande Israele”. 
In questa visione ottimistica non si attribuiva sorprendentemente alcuna rilevanza al fenomeno Hamas di cui in qualche modo si erano sottovalutate le potenzialità e l’ambizione. È qui che si addensa uno dei misteri dell’attuale conflagrazione. Come è possibile che Israele non abbia preso in considerazione le avvisaglie, per quanto frammentate, dell’imminente attacco di Hamas, al punto che gran parte delle truppe israeliane erano state spostate dai confini con Gaza alla Cisgiordania per tenere sotto controllo i conati di insubordinazione ivi sviluppatisi?
La grande responsabilità del governo di Netanyahu è stata quella di non aver individuato per tempo i segnali della crescente preparazione offensiva di Hamas che pur avrebbero potuto essere colti attraverso un minimo utilizzo di fonti informative: la presenza di migliaia di militanti armati di Hamas e la costruzione o il rafforzamento degli apprestamenti, spesso sotterranei, in vista dell’attacco. Il piano di Hamas era concretamente in via di realizzazione da almeno alcuni anni e tutto ciò è stato incredibilmente sottovalutato se non del tutto ignorato dalle autorità israeliane. Non vi è dubbio che tale “leggerezza” costituirà uno dei punti su cui più difficile sarà la difesa di Netanyahu. 
2. Il massacro in corso. L’attacco di Hamas al territorio israeliano sviluppatosi il 7 ottobre scorso, cogliendo del tutto impreparato ed ignaro il governo israeliano, ha provocato almeno 1400 vittime di ogni età, quasi tutte civili, attraverso azioni spesso all’insegna di una sconvolgente crudeltà. Si è trattato di un colpo di mano ben organizzato, strutturato con modalità inedite (come l’utilizzo di minuscoli velivoli pilotati) che ha certamente raggiunto i risultati che gli ideatori si prefiggevano. Sono stati inoltre catturati e deportati a Gaza circa 240 ostaggi israeliani e stranieri di qualsiasi età che Hamas intende utilizzare con varie finalità allo scopo anche di portare divisione e conflitto in seno all’opinione pubblica di Israele. Allo stesso tempo è stato scatenato un “diluvio” di attacchi missilistici che non sempre i sistemi di protezione di Tel Aviv riescono ad intercettare e neutralizzare. 
La reazione israeliana, dopo i primi due giorni di sconcerto e disorganizzazione, è stata certamente efficace nell’eliminare le infiltrazioni di Hamas e nel predisporre il contrattacco nel territorio palestinese. La parte settentrionale di Gaza (Gaza City) che è oggetto dell’offensiva, è da molti giorni sotto implacabili bombardamenti da terra, dal cielo e dal mare con distruzioni apocalittiche. I morti accertati, secondo le statistiche di Hamas, si avvicinano a 9500, di cui un buon 40% costituito da bambini. L’obiettivo è di distruggere le centinaia di chilometri di camminamenti sotterranei dove sono stati quasi certamente condotti gli ostaggi e che costituiscono un ricovero e una ridotta non facilmente espugnabili. Nel frattempo, l’Egitto ha consentito di aprire al sud della Striscia la altrimenti invalicabile frontiera per lasciar passare alcune centinaia di stranieri e di feriti provenienti dall’interno di Gaza.
Merita notare che le modalità e gli esiti dell’incursione di Hamas in Israele si sottraggono a qualsiasi disciplina di conflitto regolamentato. Egualmente il contrattacco israeliano, con la drammatica escalation di distruzioni di un vasto 
ambiente residenziale, mal si concilia con un criterio di auto-limitazione offensiva che tenda a contenere al massimo le vittime civili. Siamo in presenza di una guerra totale che non tollera debolezze o riserve umanitarie. 
Si sta profilando intanto un tentativo condotto dagli Stati Uniti volto ad incoraggiare una sospensione, quanto meno di breve durata, del conflitto onde portare sollievo alle popolazioni civili. È questo uno degli obiettivi, arduo da raggiungere, che persegue il segretario di Stato americano, Antony Blinken, che è atterrato in Israele questo fine settimana: lo scopo è certamente caldeggiato dai governi europei che affrontano un crescente disagio di porzioni importanti delle rispettive opinioni pubbliche interne. Le potenziali incertezze europee si sono tra l’altro palesate in occasione del voto non vincolante dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (dopo che il Consiglio di Sicurezza si era dimostrato incapace per il voto contrario di taluni membri permanenti di assumere una decisione), allorché è stata presentata da paesi arabi una risoluzione che, non contemplando alcuna menzione dell’attacco di Hamas contro Israele, richiede una sospensione immediata delle ostilità. Mentre Israele e gli Stati Uniti hanno votato contro e una quarantina di Stati-membri (tra cui l’Italia) si sono astenuti, segnatamente Francia, Spagna e Portogallo vi hanno apportato invece il loro appoggio.
Al di là di queste schermaglie “onusiane”, è ormai chiaro lo schieramento internazionale a favore dei Palestinesi. Vi si trova in prima fila l’Iran (di cui andrebbe in futuro accertata l’eventuale responsabilità nella predisposizione dell’attacco contro Israele), sostanzialmente tutti i paesi arabi, una buona parte dei paesi del Terzo Mondo e soprattutto la Russia e la Cina che vi hanno visto l’occasione per mettere sulla difensiva l’Occidente.
La sollevazione anti-Israele ha fatto saltare e messo in “naftalina” per un periodo indeterminato il rafforzamento degli “Accordi di Abramo” congelando la prospettiva di un loro allargamento all’Arabia Saudita, congelamento questo cui certamente mirava in particolare l’Iran.
La situazione complessiva di Israele rischia di diventare ancor più complicata e pericolosa in quanto agli attacchi quotidiani di centinaia di missili-razzi lanciati da Hamas contro buona parte del territorio israeliano, non meno che all’insubordinazione ancora puntuale ma diffusa che scuote la Cisgiordania, si è venuta aggiungendo la minaccia portata dalle milizie di Hezbollah che dal confine libanese martellano da ormai diverse settimane le postazioni israeliane. La possibilità di un pieno coinvolgimento di Hezbollah – il cui organico collegamento con l’Iran è fuori discussione – è stata adombrata, ma per il momento non confermata, dal leader indiscusso della stessa organizzazione sciita, Hassan Nasrallah, che, nel corso di un minaccioso discorso fiume, ha testé tenuto ad affermare la piena solidarietà con Hamas, l’estraneità dell’Iran alla preparazione dell’attacco, l’irriducibile ostilità contro Israele e gli Stati Uniti. Ma se il minacciato intervento dovesse concretizzarsi, Israele si troverebbe sotto attacco da Nord e da Sud con un potenziale esplosivo al centro in Cisgiordania: una situazione di estremo pericolo che ricorderebbe le incertezze esistenziali del 1948. 
3. Un ambiguo futuro. L’appartenenza di Israele all’Occidente è fuori discussione. La sua democrazia, articolata e combattiva, lo inserisce di diritto nel nostro mondo. La tragedia immane della Shoah lo ha trasformato paradossalmente nel cuore dell’Occidente. Se mai dovesse perire (scenario questo al momento del tutto improbabile) è possibile che inizierebbe la lenta decomposizione del mondo occidentale. Quindi è evidente che Stati Uniti ed Europa devono essere allineati per difenderlo. È d’altronde illuminante, a ben vedere, che il cuore della coalizione internazionale contraria ad Israele, al di là del mondo arabo, coincide con la galassia dei paesi autoritari e dittatoriali che si è addensata nell’ostracizzare l’Ucraina nella sua lotta per la sopravvivenza contro la Russia.
È proprio in forza di questa solidarietà di fondo che Stati Uniti ed Europa devono operare per condurre Israele ad assumere un atteggiamento diverso nei confronti dei Palestinesi. Hamas potrà anche essere distrutta ed eventualmente Hezbollah sconfitta; eppure il problema palestinese non può essere eluso. È per questo che il disegno di Netanyahu – che al termine delle ostilità dovrà mettersi da parte – non è più proponibile e realizzabile. Non rimane che dare vigore all’ipotesi dei “due popoli e due Stati”, elaborata ed accarezzata negli anni ’90 e poi passata nel dimenticatoio. È un’ipotesi estremamente difficile da realizzare ma l’unica che offra la prospettiva di una sia pur parziale riappacificazione tra Ebrei e Palestinesi. A questo auspicabile traguardo bisogna guardare con determinazione e un residuo di fiducia, consapevoli che in sua assenza il territorio israelo-palestinese ricadrà nuovamente nell’atroce spirale dell’odio, della guerra e dell’annientamento di ogni principio di umanità.

In questo numero

Adriano Benedetti, Ambasciatore.

Andrea Lunesu, Redattore della rivista Sconfinare.

Domenico Letizia, Giornalista.

Eleonora Lorusso, Giornalista.

Agata Lucchetta, Collaboratrice.

Cristina Pappalardo, Giornalista.

Romano Toppan, Docente.

Luca Volpato, Ufficio Italiano del Consiglio d’Europa.

 

 

VIAGGIARE SICURI

Consigli agli italiani 

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Il sito www.viaggiaresicuri.it, curato dall’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale in collaborazione con l’ACI, fornisce informazioni quanto più aggiornate possibile su tutti i Paesi del mondo.

Nella pagina del Paese dove intendete recarvi appare in primo piano un AVVISO PARTICOLARE con un aggiornamento sulla situazione corrente, in particolare su specifici problemi di sicurezza, fenomeni atmosferici, epidemie, ecc.

Oltre all’Avviso Particolare è disponibile la SCHEDA INFORMATIVA, che fornisce informazioni aggiornate sul Paese in generale, con indicazioni sulla sicurezza, la situazione sanitaria, indicazioni per gli operatori economici, viabilità e indirizzi utili.

Ricordatevi di controllare www.viaggiaresicuri.it 

anche poco prima della vostra partenza perché le situazioni di sicurezza dei Paesi esteri e le misure normative e amministrative possono variare rapidamente: sono dati che aggiorniamo continuamente.

Potete acquisire le informazioni anche attraverso la Centrale Operativa Telefonica dell’Unità di Crisi attiva tutti i giorni (con servizio vocale nell’orario notturno):

• dall’Italia 06-491115

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Prima di partire potete anche registrare il vostro viaggio sul sito www.dovesiamonelmondo.it indicando le vostre generalità, l’itinerario del viaggio ed un numero di cellulare. Grazie alla registrazione del vostro viaggio, l’Unità di Crisi potrà stimare in modo più preciso il numero di italiani presenti in aree di crisi, individuarne l’identità e pianificare gli interventi di assistenza qualora sopraggiunga una grave situazione d’emergenza.

Tutti i dati vengono cancellati automaticamente due giorni dopo il vostro rientro e vengono utilizzati solo in caso d’emergenza per facilitare un intervento da parte dell’Unità di Crisi in caso di necessità.

Oltre che via internet, potete registrarvi anche con il vostro telefono cellulare, inviando un SMS con un punto interrogativo ? oppure con la parola AIUTO al numero 320 2043424, oppure telefonando al numero 011-2219018 e seguendo le istruzioni.

 

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Suggeriamo caldamente a tutti coloro che sono in procinto di recarsi temporaneamente all’estero, nel loro stesso interesse, di munirsi della Tessera europea assicurazione malattia (TEAM), per viaggi in Paesi dell’UE, o, per viaggi extra UE, di un’assicurazione sanitaria con un adeguato massimale, tale da coprire non solo le spese di cure mediche e terapie effettuate presso strutture ospedaliere e sanitarie locali, ma anche l’eventuale trasferimento aereo in un altro Paese o il rimpatrio del malato, nei casi più gravi anche per mezzo di aero-ambulanza.

In caso di viaggi turistici organizzati, suggeriamo di controllare attentamente il contenuto delle assicurazioni sanitarie comprese nei pacchetti di viaggio e, in assenza di garanzie adeguate, vi consigliamo fortemente di stipulare polizze assicurative sanitarie individuali.

È infatti noto che in numerosi Paesi gli standard medico-sanitari locali sono diversi da quelli europei, e che spesso le strutture private presentano costi molto elevati per ogni tipo di assistenza, cura o prestazione erogata. Negli ultimi anni, la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie (DGIT) ha registrato un aumento esponenziale di segnalazioni di casi di italiani in situazioni di difficoltà all’estero per ragioni medico-sanitarie.

Occorre ricordare che le Rappresentanze diplomatico-consolari, pur fornendo l’assistenza necessaria, non possono sostenere nè garantire pagamenti diretti di carattere privato; soltanto nei casi più gravi ed urgenti, esse possono concedere ai connazionali non residenti nella circoscrizione consolare e che versino in situazione di indigenza dei prestiti con promessa di restituzione, che dovranno essere, comunque, rimborsati allo Stato dopo il rientro in Italia.

Per ottenere informazioni di carattere generale sull’assistenza sanitaria all’estero, si rinvia al sito del Ministero della Salute, evidenziando in particolare il servizio “Se Parto per…” che permette di avere informazioni sul diritto o meno all’assistenza sanitaria durante un soggiorno o la residenza in un qualsiasi Paese del mondo.

ATTUALITÀ E GEOPOLITICA

Le PYSOPS
Le “nuove” guerre psicologiche tra conflitti e appuntamenti elettorali
sulle due sponde dell’Atlantico
Elonora Lorusso
La scadenza elettorale europea è alle porte. Tra sei mesi, tra il 6 e il 9 giugno 2024, si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo, che a sua volta nominerà il prossimo presidente della Commissione e i membri dell’esecutivo Ue. La campagna elettorale è già iniziata e arriva in concomitanza con quella che, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, vedrà la scelta del nuovo inquilino della Casa Bianca. In un contesto così delicato dal punto di vista politico è scoppiata la crisi in Medio Oriente – che si aggiunge a quella in Ucraina. Anche in questo caso si tratta di un conflitto alle porte dell’Europa e che vede coinvolti in prima linea anche gli Stati Uniti. È un contesto nel quale la comunicazione degli eventi drammatici ha giocato e gioca un ruolo di primo piano, diventando un ulteriore elemento in grado di condizionare il voto. Lo sanno bene i politici, tanto che la materia è stata teorizzata, studiata e affinata sempre più nel corso degli anni.
Non a caso tra i primi giornali a interrogarsi sulla questione c’è stato il tedesco Die Zeit con un titolo eloquente: Verità o propaganda? Il riferimento è alla narrazione degli scontri sul campo, dopo il brutale attacco a Israele del 7 ottobre e la dura reazione delle forze di Tel Aviv nei confronti di Hamas nella Striscia di Gaza. «Il dubbio è fondato, soprattutto se si tratta di teatri operativi dove le opinioni contano molto: agire sulla propaganda, possibilmente facendosi amico il giornalista e i media, diventa fondamentale», commenta Marco Cannavicci, psichiatra militare, già consulente presso la Direzione Generale della Sanità Militare del Ministero della Difesa. Ma la guerra psicologica non è un fenomeno nuovo e non occorre scomodare le potenzialità dell’Intelligenza artificiale per capirne scopi e strategie. Il primo a parlarne è stato Sun Tzu, grande teorico militare cinese vissuto ai tempi di Confucio (tra il 551 ed il 479 a.C.) e autore de L’arte della Guerra. Dopo di lui anche Napoleone, in occasione della guerra di Ulma, rifletteva sull’importanza della comunicazione nella riuscita delle operazioni militari, tanto che decenni dopo gli Stati Uniti hanno coniato proprio il termine di PSYOPS, operazioni militari psicologiche. Si tratta di tecniche che si sono affinate nel corso della Seconda Guerra Mondiale, poi in Vietnam, Corea, guerra del Golfo fino al conflitto in Ucraina, dove il peso della propaganda è aumentato. Oggi più che mai, complici i social, i messaggi e le immagini che arrivano dai teatri hanno assunto un ruolo determinante sull’opinione pubblica. «L’obiettivo è proprio quello di influenzare la percezione di chi osserva da lontano. Si vuole far passare l’idea che quello che si osserva in una singola immagine sia il riflesso di tutto quello che accade nel teatro operativo. Scegliendo video, foto e didascalie giuste si muove l’orientamento delle opinioni del mondo occidentale. Per questo Hamas ha studiato ogni dettaglio nella pianificazione dell’attacco del 7 ottobre, puntando ai cosiddetti “obiettivi pregiati”, quello che hanno maggiore risonanza emotiva internazionale: giovani, bambini e persone fragili. Rapire un bambino ha un effetto maggiore rispetto a un adulto o a un militare. Hamas fin dall’inizio ha scelto accuratamente come, dove e quando intervenire, e successivamente chi rapire e chi mostrare man mano in video tra gli ostaggi», spiega Cannavicci, esperto della formazione di personale di intelligence e della comunicazione con la popolazione locale in teatri di missioni.
Le PSYOPS, dunque, sono diventate fondamentali, a qualunque latitudine. Lo hanno capito molto bene i russi, che oggi sono considerati veri attori “occulti” in diversi contesti, ben al di fuori dei propri confini, abilissimi nelle tecniche di propaganda. Nonostante le operazioni psicologiche militari siano state teorizzate negli Usa, dove sono state definite come “come l’insieme di prodotti e/o azioni che condizionano o rafforzano opinioni ed emozioni di specifici target per indurli a comportarsi in modo tale da supportare gli obiettivi di politica nazionale”, «negli ultimi decenni chi ha sviluppato maggiormente le tecniche psicologiche di condizionamento dell’avversario sono stati i russi, diventati maestri della propaganda, partendo dagli studi di Ivan Pavlov» osserva Cannavicci. Il riferimento è al fisiologo e Premio Nobel autore dello studio sui riflessi e sul condizionamento/apprendimento condotto sui cani. «Da tempo i russi hanno compreso come vignette e messaggi ripetuti nel tempo possono raggiungere e influenzare chiunque», sottolinea lo psichiatra militare.
Il pensiero, dunque, corre alla possibilità che questo tipo di tecniche possano condizionare l’esito del voto, sia in Europa che negli Stati Uniti, mentre si è già alle prese con gli effetti di una mediatizzazione dei recenti conflitti nei quali la propaganda è già protagonista. Tra gli effetti sull’opinione pubblica non bisogna trascurare la paura del terrorismo, che è tornato ad affacciarsi e a generare ansia nel cuore dell’Europa come non accadeva dagli attentati del 2015. «Questo è il pericolo maggiore non solo perché crea paura nei cittadini del Vecchio Continente, ma perché le immagini che arrivano da Israele e da Gaza attivano una risposta emotiva anche nei musulmani presenti in Europa: li spingono a entrare in azione per vendicare ciò che ritengono un sopruso. Di fatto risvegliano i cosiddetti “lupi solitari”, che compiono attacchi da soli, non appartengono ad alcun gruppo e dunque non sono monitorati, né sorvegliati o segnalati dalle forze di intelligence e polizia. Si muovono su iniziativa personale, ma in nome dei popoli che ritengono oppressi. È un rischio molto alto».
A ciò va aggiunto che in Europa ci si era illusi di aver allontanato lo spettro della guerra e delle morti di civili. «Oggi l’uso dello strumento militare non è ben visto proprio perché porta vittime, quindi si cercano alternative. Il problema è che in questi conflitti non ce ne sono, se non la negoziazione. Ma, nel caso di Israele, è dal 1967 che si tenta inutilmente ogni forma di accordo tra le parti. Le organizzazioni internazionali e il Vaticano puntano a dialogo e pace, ma così facendo rischiano di cronicizzare il problema – osserva Cannavicci - Fino alla Seconda Guerra mondiale i conflitti terminavano con la vittoria di una parte sull’altra, ora non si arriva mai a una conclusione: a un certo punto si cerca l’accordo ma, non arrivando alla definizione di posizioni finali, di fatto si cronicizza la situazione condannandola a perdurare e a ripresentarsi ciclicamente nel corso del tempo», conclude Cannavicci.

 

Scuola e Geopolitica

Nasce a scuola la nuova cittadinanza globale
In Italia, Veneto apripista dello studio delle relazioni internazionali e delle geopolitica nelle Scuole.
Andrea Mazzanti


A partire da quest’anno scolastico, migliaia di studenti delle scuole superiori potranno avvicinarsi allo studio delle Relazioni Internazionali e della Geopolitica. Infatti, grazie al successo ottenuto con la prima edizione 2022-2023 del PCTO INTRODUZIONE ALLA GEOPOLITICA ― che si è concluso con la partecipazione alla terza Edizione del Festival Internazionale della Geopolitica Europea svoltosi in M9 - Museo del ’900 nel maggio 2023 ed al quale ha preso parte una nutrita rappresentanza di studenti e tutor degli istituti partecipanti, per effetto del protocollo d’intesa (DGR. 1507/2023) tra Regione del Veneto, Ufficio Scolastico Regionale del Veneto e Fondazione M9, quest’anno il Percorso è stato esteso gratuitamente a tutti gli Istituti Superiori della Regione. È la prima volta che un sistema scolastico, in questo caso regionale, approccia in modo sistematico lo studio delle relazioni internazionali e della Geopolitica rendendolo parte integrante e premiante (grazie ai crediti del Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento - PCTO) dell’offerta didattica. L’intero progetto è stato presentato nel corso di una conferenza stampa svoltasi a Venezia, a Palazzo Balbi, sede della Giunta Regionale del Veneto, alla presenza dell’Assessore regionale alla Pubblica Istruzione, Elena Donazzan, al Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale, Xxxx Bussetti, al Presidente della Fondazione M9, Michele Bugliesi,  alla Direttrice di M9, Serena Bertolucci, agli Ambasciatori e copresidenti del Circolo di Studi Diplomatici, Paolo Casardi e Maurizio Melani, e ad una delegazione di Dirigenti scolastici in rappresentanza delle oltre 500 scuole del Veneto potenzialmente coinvolte.
Il Corso di Introduzione alla Geopolitica per l’anno scolastico 2023/2024 si svolgerà  tra il 6 febbraio e l’11 maggio 2024. Proposto da Fondazione M9, grazie alla collaborazione con la Rivista di Affari Internazionali Atlantis (ideatrice e realizzatrice del progetto), il Circolo di Studi Diplomatici con sede alla Farnesina in Roma, Confindustria, Consiglio d’Europa, Europe Direct, M9 District, per un totale di 39 ore suddivise tra incontri on-line (19 ore) e partecipazione al Festival da remoto o in presenza (20 ore).
Il programma mira a fornire agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado gli elementi di base per la comprensione degli argomenti di attualità che riguardano profili, argomenti e dinamiche di carattere geopolitico. L’approccio a tale tema permetterà agli studenti di sviluppare ulteriormente l’interesse per l’internazionalismo e li aiuterà a costruire un senso critico nei confronti delle vicende attuali. Non di meno, il progetto si pone come introduzione ai temi che verranno discussi durante la quarta edizione del Festival Internazionale della Geopolitica Europea (9 all’11 maggio 2024 all’M9) a cui gli studenti saranno invitati a prendere parte con un ruolo attivo nella gestione dell’ufficio stampa e/o dell’accoglienza. 
Tra i docenti che si alterneranno nei moduli formativi: Ambasciatori del Circolo di Studi Diplomatici, Operatori ed Esperti di Relazioni Internazionali, Giornalisti, Economisti, Storici, Analisti, Manager ed Imprenditori, Rappresentanti di Istituzioni. 
I Moduli trattati riguardano i Fondamenti di storia delle Relazioni internazionali; Fondamenti di Diritto Internazionale e le Organizzazioni Internazionali; La Difesa, la sua evoluzione e le relazioni internazionali; Geopolitica e approccio multidisciplinare; Informazione e Intelligence; Specifici argomenti dell'attualità internazionale (Economia, Industria, Strategie di sviluppo, etc.; nonché specifici Laboratori di preparazione al Festival Internazionale della Geopolitica Europea al quale gli studenti parteciperanno sia in presenza che da remoto grazie alla diretta streaming dell’evento.

Diritti e Geopolitica

Mary Peltola: la congressista democratica dell’Artico e la difesa delle comunità indigene dell’Alaska

Domenico Letizia

La recente e animata convention annuale della Federazione dei Nativi dell’Alaska, svoltasi ad Anchorage, ha chiuso i lavori presentando un appello al Congresso degli Stati Uniti d’America in cui viene chiesto la promozione di una pesca sostenibile e non impattante per l’economia e la vita delle comunità locali. Il Congresso dei Nativi dell’Alaska ha registrato un grande apprezzamento per il discorso e l’azione politica della deputata democratica Mary Peltola, rappresentante dell’Alaska e dei nativi al Congresso. Peltola è la prima rappresentante dei nativi dell’Alaska ad essere stata eletta al Congresso e la sua missione principale è quella di far comprendere alla politica federale e alle istituzioni di Washington l’importanza di implementare e sostenere il modello economico, sociale e culturale della popolazione dell’unico stato artico degli Stati Uniti d’America. La deputata Peltola è nata ad Anchorage, in Alaska, nell’agosto 1973, crescendo nelle comunità di Kwethluk, Tunttuliak, Platinum e Bethel. Studentessa universitaria ha lavorato come tecnico esperto e accreditato per le analisi delle aringhe e dei salmoni all’interno del Dipartimento della pesca e della selvaggina dell’Alaska. Peltola ha studiato presso l’Università del Colorado settentrionale e successivamente ha seguito dei corsi di approfondimento presso l’Università dell’Alaska Fairbanks, l’Università dell’Alaska Southeast e l’Università dell’Alaska di Anchorage.
La sua visibilità politica inizia con l’elezione al Consiglio cittadino di Bethel nel 2011, ricoprendo tale carica fino al 2013. Successivamente, la deputata ha intrapreso un importante percorso come lobbista per l’Alaska assumendo il ruolo di Direttore esecutivo per la Commissione inter-tribale per la pesca del fiume Kuskokwim. Nel corso dell’anno 2022, Peltola fu una dei tre candidati ad accedere alle elezioni generali, sui 50 che concorsero alle elezioni primarie per succedere a Don Young, divenendo una rappresentante dell’Alaska alla Camera degli Stati Uniti d’America. Il suo nome arrivò quarto alle primarie e riuscì a qualificarsi per le elezioni, con un grande eco mediatico poiché unica democratica dell’Alaska ad essere arrivata al voto. Il successo giunse dopo la sua vittoria contro l’ex governatrice repubblicana Sarah Pallin e il sostegno alla sua corsa elettorale di molti repubblicani delusi delle manovre politiche locali.
L’azione politica della Peltola è legata agli interessi delle comunità locali dell’Alaska, raccogliendo riconoscenza e apprezzamento anche tra i repubblicani dello Stato. Nel febbraio di quest’anno, la Peltola ha annunciato di aver scelto Josh Revak, già senatore repubblicano dello Stato, nella gestione del suo ufficio in Alaska. D’altronde, lo staff di Peltola al Congresso comprende anche repubblicani e il suo capo staff, Alex Ortiz, fu l’assistente più importante del predecessore Don Young. La vita della democratica dell’Artico è legata alle tradizioni e ai costumi delle tribù dei nativi americani. Peltola è una componente dell’organizzazione tribale “Orutsararmiut Native Council” ed è la prima nativa dell’Alaska a vincere un seggio al Congresso. “È travolgente. Ed è un’ottima sensazione. Sono molto grata che il popolo dell'Alaska abbia riposto la sua fiducia in me”, dichiarò la Peltola in un’intervista al Washington Post, poco dopo la sua vittoria.
Tuttavia, la popolarità della Peltola è un grande ostacolo per i repubblicani, nonostante i grandi vantaggi che derivano dalle scelte bipartisan adoperate dalla congressista. Numerosi attivisti e candidati repubblicani dell’Alaska stanno tentando di abrogare il sistema di volto adottato dallo stato, sostenendo che tale sistema può consentire ad un democratico di raggiungere la vittoria anche se la maggioranza degli elettori sceglie un indirizzo repubblicano al primo scrutino.
La capacità di rappresentare tutti gli interessi della società dell’Alaska è la vera chiave di volta della congressista democratica. “Mary capisce che questo non è il suo posto in eterno, ma una modalità di rappresentare l’Alaska alla Camera. Spetta a lei dimostrare agli abitanti dell’Alaska che è la persona giusta per combattere per loro a Washington. E lei è concentrata proprio su questo: far crescere le opportunità e le potenzialità dell’Alaska”, ha recentemente affermato Elisa Rios, responsabile della campagna politica della Peltola. Un importante tematica al centro della campagna della congressista è quella della pesca e della sostenibilità della pesca artigianale.
Nel Paese nordamericano, la pesca è la più grande fonte di sostentamento sia per i suoi abitanti sia per lo Stato, una delle risorse più preziose oltre che una tradizione profondamente radicata che coinvolge non solo i pescatori ma anche i trasformatori, gli scienziati, gli attivisti ambientali e le forze dell’ordine. Sono migliaia le piccole imprese familiari, composte da cittadini che lavorano osservando in modo responsabile le rigide leggi dell’Alaska sulla pesca, un’attività per la quale viene fatto il massimo dallo Stato nel fornire le risorse per un buon andamento dell’economia. Questo avviene non solo utilizzando metodi di pesca sostenibile, ma anche applicando le informazioni scientifiche che vengono costantemente fornite dalle autorità.
In Alaska, da sempre e per tradizione, vengono utilizzate tutte le parti del pescato. Le lische vengono impiegate in alimenti per animali domestici, in fertilizzanti e per rimuovere metalli pesanti e rifiuti radioattivi dal suolo, mentre la milza, lo stomaco e le uova rappresentano una vera prelibatezza nella preparazione di sofisticate specialità. La pelle, poi, ha proprietà curative, ed è utile nel settore tessile e dalle squame, infine, si ricava plastica biodegradabile. La garanzia sulla sostenibilità dei prodotti ittici dell’Alaska è data attraverso la certificazione che ne indica anche la tracciabilità. L’Alaska aderisce alla Responsible Fisheries Management (Rfm) e al Marine Stewardship Council (Msc). Entrambe le certificazioni garantiscono il tracciamento della filiera. Approcci e nuove tecnologie per la filiera ittica nordamericana che in Alaska diventano argomenti politici prioritari per la crescita economica e sostenibile del Paese.

Università e Geopolitica

Qatar: ologramma geopolitico o piovra del soft power?

Andrea Lunesu

Indipendente dal 1971 su concessione della Gran Bretagna, il piccolo emirato si estende su una piccola appendice della vasta penisola arabica. Politicamente si regge su una monarchia semi-assoluta, governata dalla dinastia Al Thani fin dal 1850, che non ammette partiti politici e prevede una giurisdizione basata ancora sulla Sharia.
Dal punto di vista religioso la maggioranza della popolazione professa l’islam sunnita, con tuttavia una minoranza sciita composta da importanti famiglie che permettono un maggior dialogo con il vicino iraniano. I rapporti con Teheran sono infatti alla base della forza politico-economica di Doha: i due interlocutori, infatti, condividono il controllo del più grande giacimento offshore di GNL (Gas naturale liquefatto) al mondo, il “North Dome”, collocando il paese come secondo esportatore di gas al mondo dopo la Russia. Ciò ci permette di parlare del Qatar come un “rentier state”, ovvero uno Stato la cui rendita è fortemente dipendente dall’esportazione di una materia di cui hanno abbondante disponibilità: il solo comparto idrocarburi compone il 60% del PIL del paese e l’85% delle esportazioni complessive.
Parlando dell’esercizio di soft power in relazione al Qatar, è importante sottolineare i numerosi accordi che a seguito della guerra in Ucraina hanno proiettato le risorse del paese come un'alternativa al GNL russo. Esemplificativi gli accordi stipulati con Berlino nell'ultimo periodo o la joint venture per l'espansione dell’impianto North Field attraverso ENI.
Giacimento onshore South Pars/North Field in condivisione con l’Iran (credits: Wikimedia Commons)
Il denaro accumulato grazie alle energie fossili ha spinto il Qatar a essere sempre più ambizioso a livello globale, aprendo l’opportunità di profilarsi in svariati teatri di politica internazionale ma al contempo rendendo necessaria l’idea di diversificare le possibilità di income, approfittando dei numerosi e diversissimi interlocutori con cui si rapporta.
Un esempio di soft power in tal senso è il ruolo ricoperto nella crisi israelo-palestinese. Doha è da sempre una strenua sostenitrice della causa palestinese: nel 2012 l’emiro visitò la nuova Gaza gestita da Hamas, destinando ingenti somme di denaro per l’aiuto alla popolazione civile (e non solo). Gli stessi vertici di Hamas sono stati ospitati in uffici attraverso cui hanno potuto continuare ad avere i contatti necessari alla mediazione per la liberazione di ostaggi, come confermato dalla liberazione di due ragazze americane a fine ottobre e dai calorosi ringraziamenti statunitensi a Doha per l’urgenza con cui si è mossa.
Tamīm bin Ḥamad Āl Thānī, emiro del Qatar (credits: Wikipedia)

Questa strategia diplomatica, fondata sul potere economico del paese, ha persino consentito all’emirato di tenere aperta la propria ambasciata a Kabul dal 2021, permettendo l’avvio di incontri tra i talebani e gli States per il ritiro delle truppe, di ospitare i vertici di Al Fatah o dei ceceni ostili a Mosca
Sul piano bellico il Qatar si presenta con tutt’altra faccia: uno dei principali alleati militari è la Turchia, la quale garantisce la sicurezza militare del paese tramite alcune basi aperte in loco a partire dal 2014, tutto ciò in cambio del sostegno economico alle iniziative di politica estera di Erdoğan (soprattutto quelle in Siria). Un’altro attore di rilievo in questo scenario è sicuramente Washington, con cui Doha ha accordi in merito a commesse militari per 12 miliardi di dollari, oltre alla concessione di installazioni americane sul territorio, come la base aeronautica di Al Udeid.
Inoltre, dal 10 marzo 2022 il Qatar è diventato un “MNNA” (Major Non NATO Ally), il che rende l’emirato un affidabile interlocutore della NATO ed un paese con cui è possibile intraprendere una partnership sempre più stretta, suffragata dalla visita di Al Thani a Washington in autunno 2022. .
Per di più, il paese si differenzia ulteriormente dai dirimpettai del golfo persico grazie al notevole peso mediatico di Al Jazeera, network nato nel 1996, tuttora in mano alla famiglia reale, che ricopre un ruolo attivo nelle strategie di politica estera. L’esempio lampante di ciò è stata la copertura delle primavere arabe tra 2010 e 2013, alimentando la dimensione mediatica dell'evento e corrispondendo al supporto qatariota di lunga data alla Fratellanza Musulmana. A questo punto, non stupisce il fatto che tra le clausole per la risoluzione della crisi diplomatica all’interno del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) ci fosse l’imposizione di chiudere la redazione egiziana del network, oltre alla decisione di Riyadh di lanciare nel 2003 Al Arabiya News Channel, in diretta competizione con Doha.La necessità di diversificare le entrate, come già detto, è al centro delle prospettive politiche dell’emirato che, attraverso il Qatar Investment Authority, ha dimostrato di sapersi muovere in tutti i settori, creando un forte sistema di interdipendenza. Il fondo controlla il 17% del gruppo Volkswagen, quote rilevanti delle banche Barclays e Agricultural Bank of China e una fetta notevole di Porsche e Sony. Altre partecipazioni significative sono quelle nell’immobiliare inglese e americano (le quote sul Canary Wharf e il 10% dell’Empire State Building, ad esempio), negli aeroporti di Heathrow e San Pietroburgo, nella Credit Suisse, Royal Dutch Shell e Harrods.

In Italia, i primi passi sono stati fatti nel mondo dell’hotellerie con l’Hotel Gallia di Milano, il Gritti Palace e il Saint Regis di Venezia e l’Excelsior di Roma, o nel settore edilizio per quanto concerne i progetti riguardanti il quartiere di Porta Nuova del capoluogo lombardo, stringendo nel giro di pochi mesi accordi con Hines Italy e Unipolsai e facendo in modo di associare il marchio emiratino al Bosco Verticale disegnato da Stefano Boeri. In più, il fondo ha messo le mani anche nel settore della sanità attraverso una collaborazione con il Policlinico Gemelli di Roma e il Mater Dei di Olbia.
La strategia qatariota è tentacolare: si muove ovunque e lo fa con una tale disinvoltura e poliedricità da non destare un accanimento mediatico eccessivo nei propri confronti. Nonostante negli anni molte delle situazioni su cui i partner mondiali hanno chiuso un occhio stiano venendo a galla (vd. sistema della kafala, accuse di lobbismo durante l’amministrazione Trump o il più famoso “Qatargate”), l’emirato sembra non mostrare segni di cedimento e anzi si mostra sempre più sicuro nel suo percorso per affermarsi come uno degli attori principali dello scacchiere internazionale, anche se spesso l’apparenza conta più della realtà.

 

 

 

Economia e Geopolitica

Manifesto della Confindustria Veneto sulla economia della cultura e del turismo

Romano Toppan

"For too long the range of values provided
by culture attributes and artifacts has not
been recognized: their role in job creation,
social cohesion, tourism, and so on.
Cultural preservation and renewal are not
a luxury good, something to be done
later. It is a productive sector."

James D. Wolfensohn
Past-President World Bank

Una strategia innovativa:

La Confindustria Veneto propone una strategia di attenzione e di interesse per un modello di sviluppo innovativo e sostenibile, orientato alla valorizzazione della cultura e del turismo.
In questa fase di transizione dalla mani-fattura alla mente-fattura, le economie dell’intangibile crescono a ritmi sorprendenti e creano valore in molte forme nuove e inedite: il nostro paese e, in particolare, la nostra Regione del Veneto, hanno un potenziale irraggiungibile proprio nei settori delle economie orientate alla qualità, alla conoscenza, alla cultura e al turismo.
La capacità di formulare strategie adeguate a valorizzare questo potenziale fa difetto, a causa della debolezza con la quale il paese e le sue organizzazioni ed istituzioni possiedono una visione di lungo termine e a causa della mancanza di una coesione attorno alle priorità con le quali intraprendere un percorso economico coerente con i nostri vantaggi competitivi.
Essi determinano il posizionamento di una Nazione o di un territorio nel suo sistema di riferimento e i dati relativi alle economie della cultura e del turismo esprimono ormai da tempo una comprovata certezza che l’Italia ha proprio su questo terreno un potenziale significativamente più alto di tutte le possibili nazioni concorrenti. E all’interno della nostra nazione, possiamo affermare che il Veneto eccelle tra le prime posizioni, sia in termini di potenziale culturale, sia di prodotto che di processo, che di dotazione di infrastrutture capaci di valorizzarlo.
Tuttavia, la sensibilità, la consapevolezza e la responsabilità attiva di fronte a questo potenziale e a questa dotazione, sono ancora inadeguate sia rispetto alla domanda che all’offerta.

Elementi di forza e di debolezza:

Il Veneto ha elementi di forza, come la vastità del patrimonio architettonico, l’unicità e l’originalità (non riproducibili né delocalizzabili) dei paesaggi sia urbani che rurali e montani, il brand inimitabile che la Serenissima Repubblica ancora oggi ci lascia in eredità, suscitando attrazione e ammirazione diffuse e continue in ogni parte del mondo, compresi i grandi paesi emergenti come la Cina e i paesi arabi (e il cosmopolitismo della Serenissima aveva raggiunto con queste aree del mondo un dialogo ancora oggi ineguagliato), il prestigio di alcuni Eventi di risonanza mondiale, come la Biennale di Venezia o l’Arena di Verona.
Ma ha anche elementi di debolezza : di fronte a questo “capitale dell’intangibile” espresso dalla cultura e dal turismo, non vi è ancora una capacità gestionale adeguata, sia in termini di capitale umano (le competenze) che in termini di governance coordinata e integrata fra tutti gli attori territoriali ed istituzionali, come la regione ha saputo esprimere con il suo specifico modello di sviluppo fondato sulle sinergie delle economie coalizionali, come i distretti produttivi e le altre forme analoghe di programmazione negoziata di sviluppo locale.

Necessità di una “torsione” strategica risoluta e urgente

Proprio per queste ragioni Confindustria Veneto ha avvertito il bisogno di fare una “torsione” strategica alla sua azione verso alcuni grandi obiettivi, connessi soprattutto agli scenari profondamente cambiati in questi ultimi dieci anni, e destinati a cambiare ancora più velocemente nel prossimo futuro, per rendersi disponibile verso la propria regione e gli altri attori territoriali e proporre la “trasferibilità” del modello gestionale coordinato e coeso,che ha decretato il successo dell’industria manifatturiera, alla nuove industrie della cultura e del turismo.
La chiave di volta di una nuova forma di competitività dell’intera regione poggia proprio nella rapidità e congruenza di questo “trasferimento”, che implica come sue naturali conseguenze l’adozione di modelli di management gestionale sia del patrimonio culturale che degli eventi, in tutta la gamma che oggi l’economia della cultura offre : dai monumenti agli eventi, dalle attività creative a quelle espositive, dai cambiamenti di destinazione d’uso dei patrimoni architettonici, come le ville venete, i castelli, i fortilizi, i monasteri e l’archeologia industriale e portuale, al recupero dei beni culturali non esposti, che giacciono nei magazzini dei musei, delle famiglie, delle diocesi e delle forze armate.

A tutto questo occorre imprimere una vera e profonda svolta innovativa

I dati che gli organismi qualificati come la Banca Mondiale, l’OCSE, l’UNCTAD, l’UNESCO e altri ancora, forniscono sulla crescente incidenza della cultura sul Prodotto Interno Lordo delle nazioni sono ormai accreditati e danno un fondamento sicuro ad ogni possibile strategia politica conforme a tali scenari.
Egualmente il dato vale anche per il turismo, per il quale la garanzia offerta dai dati, che già da almeno un trentennio l’Organizzazione Mondiale del Turismo, è ormai di una chiarezza totale e non offre più alcun elemento di incertezza a quei governi che volessero dare impulso a politiche di progresso e di diffusione di occupazione e di benessere promosse dal turismo, che è diventato e sta diventando per molti paesi un vero e proprio motore prioritario.
Lo è stato anche per l’Italia, sebbene il paese abbia perduto, dagli anni Settanta (nei quali occupava il primo posto nel mondo per arrivi, presenze e ricavi) a oggi, ben cinque posizioni, scivolando verso il sesto posto.
Lo è tuttora per il Veneto, che, prima regione d’Italia nel settore, rischia, tuttavia, di diventare un grande satellite di una Nazione che invece si allontana dalle posizioni di testa.

I requisiti di managerialità ed efficacia

Sia nella cultura che nel turismo, al bisogno di concertazione integrata sul territorio e tra le istituzioni, occorre soddisfare anche i requisiti di managerialità, di efficienza, di capacità gestionale tale da coprire le forme approssimative e puramente intuitive che hanno caratterizzato finora i due settori, e fare dell’industria della cultura e del turismo quel campo di azione delle migliori competenze e dei know how di eccellenza che sono stati e sono il segreto dello sviluppo veneto nel settore industriale classico.
In questo modo, la nostra Regione si ricollocherebbe entro un rating della ricchezza che valuta,ormai, sempre più gli attivi intangibili e si ispira ai nuovi criteri o indicatori di sviluppo e di benessere che stanno per essere introdotti in molti paesi, come nel caso recente della Francia, con il documento relativo alla modifica degli indicatori tradizionali del Prodotto Interno Lordo, con l’introduzione di indicatori più prossimi al valore del benessere sociale, della conoscenza e della competenza, della felicità.
Inoltre, anche in termini di creazione di lavoro, che rappresenta uno dei problemi più impellenti e drammatici dell’attuale momento sociale ed economico, questo mutamento di strategia decisa e ben fondata sul terreno della economia della cultura e del turismo come motori di creazione di valore, si avrebbero parametri labour intensive evidenti e facilmente intuibili : per avere una idea abbastanza precisa, calcolata da ricercatori che si occupano della economia della cultura, basti pensare che 1 miliardo di Euro investiti in settori hard come quello petrolifero, generano circa 300 posti di lavoro nuovi, mentre la stessa cifra, investita nella economia della cultura e nelle sue filiere connesse, ne genera circa 12.000, vale a dire quaranta volte tanto. Se poi pensiamo alle ricadute sulla creazione di imprese, che è forse il fenomeno o l’effetto che innesca una autorigenerazione di creazione di impieghi, il quadro si completa.
Pertanto, il trasferimento di queste competenze dal settore industriale classico a questi nuovi settori economici è possibile, è necessario, è urgente, e candida il tessuto “imprenditoriale” a disporre delle proprie qualità e delle proprie eccellenze per far ricavare una redditività significativa anche dalle nuove economie, come appunto sono quelle legate al turismo e alla cultura.

Verso un Manifesto comune e condiviso:

La Confindustria Veneto propone di compiere, insieme a tutte le altre componenti economiche, sociali, culturali e istituzionali, alcuni passi per una “Manifesto comune verso una strategia innovativa “i cui principi fondamentali siano ispirati alle seguenti premesse etiche e politiche:

In primo luogo, occorre una revisione critica delle leggi tradizionali del mercato, perché molte leggi economiche del mercato proprie all’industria classica, ora e in futuro vanno attentamente sottomesse a una revisione, come la legge della domanda, la legge della relazione, ancora diffusamente percepita come reale, naturale e scontata, tra aumento del reddito e felicità, il rapporto tra attivi tangibili ed attivi intangibili e altre opzioni di questa natura;

In secondo luogo, urge definire un quadro logico coerente con almeno sei dimensioni essenziali:
la sostenibilità, come principio ispiratore di base, considerando la fragilità del patrimonio ambientale e culturale e i pericoli che può avere l’impatto economico della loro valorizzazione, perché non diventi sfruttamento privo di criteri e di precauzioni adeguate,
i sistemi di qualità, come forma di acquisizione del miglioramento continuo, del confronto delle buone pratiche a livello locale, nazionale e internazionale, come percorso verso l’eccellenza e verso la soddisfazione dei beneficiari,
la contendibilità e le competitività, come regola di governance che non permetta, soprattutto in questo settore di common goods, posizioni di rendita, monopoli o altre forme di accaparramento o sfruttamento in termini di pura patrimonializzazione o privatizzazione personale di beni e di valori che sono per definizione beni e valori della comunità, e dia invece spazio ai meriti di chi veramente è capace di “gestire” con efficacia ed efficienza i beni da valorizzare, compresi quelli “demaniali”,
la governance coalizionale: cultura e turismo sono settori nei quali l’imprenditorialità eroica e solitaria non è in grado di conseguire risultati significativi, mentre occorre crescere nella capacità di fare squadra, di esprimersi in termini di programmazione concordata e integrata,
i sistemi del well-being, come scenario di una economia della felicità verso la quale tutti i grandi centri di cultura economica attuale stanno dedicando crescente attenzione e studi scientifici sempre più accurati e provati, dimostrando che fuori di un quadro finale che contribuisca alla crescita della felicità, qualsiasi altra forma di sviluppo economico non è, di per sé stesso, credibile,
i modelli di dialogo interculturale: la globalizzazione comporta rischi, ma anche opportunità, soprattutto facilita la circolazione delle idee e dei valori culturali di altri contesti sociali, con beneficio tangibile di apertura mentale, di apprezzamento per le culture diverse, di sintesi più alte di incontro (e non di scontro) tra le civiltà, come l’esperienza della Serenissima ha storicamente messo in evidenza in modi ancora oggi sorprendenti.

In terzo luogo, vi sono due aspetti “manageriali” specifici per i quali CONFINDUSTRIA VENETO propone un apporto mirato e accreditato, e sono:
La cultura manageriale : distinguendo le competenze relative alla tutela e alla conservazione, sulle quali il mondo delle imprese non può interferire, in quanto rigorosamente assegnate ai regolamenti dei cosiddetti common goods, è però evidente che dovendo promuovere anche la cultura della valorizzazione e gestione dei beni culturali, l’approccio tipico delle scienze del management entrano a pieno titolo e con diritto in questa sfera, là dove la cultura e il turismo offrono spazi alla creazione di “imprese”;
La cultura del mecenatismo : anche l’impegno delle imprese industriali verso il mecenatismo, costituisce uno dei punti più importanti per aspirare ad avere un ruolo di servizio nel campo di queste nuove economie, soprattutto nella economia della conoscenza e nella economia della cultura, non solo in termini di “benevolenza” o di donazione liberale, ma anche e sempre più, in termini di investimenti e di più proficue forme di allocazione delle risorse finanziarie conseguite con l’industria manifatturiera classica, ossia una “diversificazione” intelligente e coerente con lo scenario del futuro.

 

Cultura e Geopolitica

Amore senza confini

Cristina Pappalardo

La guerra di Troia fu uno dei primi esempi di operazione militare strategica volta alla conquista totale di un territorio e all’assoggettamento di un popolo da ogni punto di vista sia socio-politico sia economico-culturale. Questa guerra, combattuta verso la fine del II millennio a. C. tra i Greci e i Troiani nella città situata sulle coste della Penisola anatolica, nell’attuale Turchia, venne vinta dai primi a discapito dei secondi, ma fu apparentemente cagionata dal tradimento della regina Elena, moglie del re di Sparta Menelao, con Paride principe troiano figlio di Priamo. Per riprendersi la moglie, Menelao radunò tutti gli eserciti delle città greche e, grazie all’aiuto del fratello Agamennone, re di Micene, convinse i guerrieri più valorosi ad avventurarsi nei pressi della costa occidentale dell’Anatolia e ad assediare la città per dieci anni. Troia era situata presso lo sbocco dei Dardanelli ed era universalmente riconosciuta fra le città più prospere a livello economico e geopolitico. Infatti sino a quel momento nessun nemico era mai riuscito a valicarne le poderose mura, e a conquistarla. La città rappresentava un punto di riferimento per il commercio non soltanto marittimo. Era viatico di merci e di importanti scambi di minerali e pietre preziose anche perché si trovava all'incrocio dei passaggi dall'Asia all'Europa, all'ingresso del Mar Nero, in una regione di miniere d‘argento. Pare poco probabile che la guerra di due grandi civiltà e popoli sia iniziata “per amore”. Si sa per certo da fonti letterarie e da reperti archeologici che Troia è realmente esistita e che i troiani si scontrarono spesso con i greci. Quella tra greci e troiani era una guerra tradizionale, epica, senza esclusione di colpi. Corsi e ricorsi storici ci portano oggigiorno ad osservare, nel panorama internazionale, almeno tre tipi di guerre: tradizionale, non convenzionale e civile. Quella tra Russia e Ucraina è una guerra tradizionale perché coinvolge due stati i cui eserciti impiegano armi e tattiche per la conquista di territori ben riconoscibili e marcati da confini. E’ una guerra simmetrica in quanto le forze contrapposte paiono avere potenza simile. Ne dà prova il fatto che il conflitto fra i due stati si trovi in una situazione di stallo e che da “operazione speciale” si stia lentamente trasformando in “conflitto a bassa intensità”. La guerra tra Israele e Palestina, invece, non è convenzionale perché si fonda su una successione di attentati, operazioni clandestine, guerriglia armata, intelligence e operazioni di forze paramilitari che sono sbilanciate tra le parti. E’ inoltre scoppiata per stabilire dei confini più netti e definiti. Le guerre in Congo e in Myanmar sono considerate civili perché coinvolgono fazioni appartenenti alla stessa nazionalità. Alle sommosse prendono parte decine di gruppi ribelli che usano strategie di guerriglia e i cui dispositivi bellici vengono forniti dalle nazioni straniere che mirano ad impossessarsi della ricchezza del loro sottosuolo. La guerra civile nella repubblica democratica del Congo è una guerra dimenticata dai social media così come quella nel Myanmar. Quella di Troia invece è tramandata da generazione in generazione e studiata nei libri di storia. Eppure le guerre precedentemente citate hanno alcuni elementi in comune. Il primo e più degno di nota fra tutti è l’amore senza confini di ciascun popolo coinvolto. L’identità geopolitica di questi territori veniva in passato e viene tuttora perennemente violata da interessi internazionali terzi che hanno davvero poco a che fare con le dinamiche interne di queste nazioni e con la memoria storica dei loro popoli. C’è da chiedersi quanto l’amore per l’umanità e la voglia di garantire un futuro alle nuove generazioni prevalga sugli interessi di pochi politici che tutto dispongono, ma che poco hanno dato sul campo e non solo di battaglia.

Libri e Geopolitica

Lettere sul mondo presentato a Più Libri Più Liberi, fiera della piccola e media editoria italiana

Tradizionale appuntamento annuale a Più Libri Più Libri edizione 2023, domenica 10 dicembre dalle 16,30 con la presentazione del libro Lettere sul Mondo 2023, raccolta delle lettere diplomatiche del Circolo di Studi Diplomatici. L'evento, al quale hanno partecipato i co presidenti Ambasciatori Paolo Casardi e Maurizio Melani, è stato molto partecipato con interessanti interventi dei diplomatici presenti, tra i quali Laura Mirachian e Giuseppe Morabito. Oltre ai contenuti della pubblicazione, giunta alla quarta edizione per i tipi della Mazzanti Libri, si è sottolineata la collaborazione con il Circolo di Studi Diplomatici anche per la realizzazione del Festival Internazionale della Geopolitica Europea che il prossimo anno si svolgerà nel giorni 9, 10 e 11 maggio 2024 e per il Pcto con le scuole superiori venete, sancito dalla convenzione tra Regione del Veneto, museo del 900 M9 di Mestre-Venezia e ML, finalizzato a fornire agli studenti delle superiori, senza distinzione tra licei e istituti professionalizzanti, un primo approccio alle relazioni internazionale e alla geopolitica. Il progetto formativo - hanno sottolineato Casardi, Melani e Mazzanti - è destinato dopo una prima fase sperimentale e una seconda avviata per prima nella regione veneta, a divenire un lungimirante progetto educativo di respiro nazionale.

Sommario